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Le nostre vite e i nostri spazi nell’epoca pandemica

La pandemia ci ha imposto nuovi modi di vivere che si sono tradotti in una rinnovata consapevolezza di quanto siano fondamentali gli spazi che abitiamo.

L’aver vissuto in isolamento nelle nostre abitazioni, così come l’aver a che fare con uno spazio pubblico che è profondamente cambiato rispetto a “prima”, hanno reso chiaro che occuparsi della qualità delle case e dei territori in cui viviamo significa affrontare le ingiustizie e le sfide (economico-sociali, ecologiche, di genere, razziali) che caratterizzano il nostro modo di stare insieme. Ingiustizie e sfide che, al di là di ogni trionfalistica retorica della “ripresa”, sono esplose nell’ultimo biennio.

Non a caso si è parlato di sindemia: le ondate di covid hanno aggravato disuguaglianze che erano già intollerabili, costringendo milioni di persone in situazioni di gravissima crisi economica e sociale.

È facile dare concretezza a queste consapevolezze. Abbiamo sperimentato con un’evidenza inedita il fatto che per troppe persone restare a casa non è possibile perché manca una casa dove stare, e che per tante altre ciò ha significato e significa mettere a repentaglio la propria incolumità psicofisica. Continuiamo a fare i conti con le ingiustizie di un mercato immobiliare che non smette di lucrare sulla pelle di molti, a cominciare dalle persone e dalle famiglie straniere che spesso firmano contratti capestro per alloggi indecenti. E guardiamo con grande preoccupazione all’ondata di disagio abitativo e di sfratti che sta cominciando a investire Torino, e che possiamo contrastare solo creando forti reti mutualistiche e sviluppando ampie alleanze politiche.

Ancora, abbiamo capito che, se dotata di spazi adeguati, la casa può essere anche luogo di lavoro. Ma assistiamo alla cecità di una politica che, invece di avviare un ambizioso dibattito pubblico sullo smart working, obbliga le persone a tornare in ufficio ben oltre il necessario, moltiplicando inutilmente le occasioni di contagio. E lo spettacolo di città come Venezia, quasi in ginocchio se svuotate di turisti, ci ha permesso di verificare l’insostenibilità di economie locali che affidano le proprie sorti a turistificazione e grandi eventi.

Insomma, abbiamo capito in prima persona che essere privati degli spazi che abbiamo in comune per le nostre relazioni significa vivere una vita triste, dimezzata. In questo senso, per non tornare alla “normalità” che ha preceduto l’epoca pandemica dobbiamo provare a costruire collettivamente spazi di vita giusta e sicura per tutti e tutte.

Ci hanno raccontato a lungo che viviamo in tempi eccezionali. Ebbene, se ciò è vero occorre dotarsi di una piattaforma ambiziosa per il diritto all’abitare e il diritto alla città. Si tratta di mettere in comune elaborazioni, esperienze, energie e rivendicazioni, a cominciare – per esempio – da due grandi obiettivi: (a) eliminare il disagio e la precarietà abitativa come condizione di vita; (b) sperimentare e consolidare nelle città nuovi spazi di partecipazione democratica e di qualità della vita.

Abitare a Torino dentro e oltre la pandemia

Anche a Torino la pandemia è stata una cartina di tornasole e, allo stesso tempo, un acceleratore. L’esistenza di molti fenomeni di discriminazione ed esclusione sociale in ambito urbano, a partire dalla dimensione abitativa, è apparsa in tutta la sua gravità a partire dalla primavera del 2020. Ciò ha permesso di vedere che tanti dei problemi con cui si misura la gente che vive a Torino non sono inediti, bensì affondano le loro radici in un sistema economico e politico consolidato da tempo. Allo stesso tempo, gli ultimi mesi hanno amplificato l’intensità e la rilevanza di molte questioni.

Per un verso, è ormai endemica, perché condivisa da un numero sempre più ampio di persone, la condizione di precarietà abitativa. Anche quando non si trova in uno stato di vera e propria emergenza abitativa, troppa gente fatica a trovare e a mantenere soluzioni abitative dignitose e adeguate alla propria disponibilità economica. Si tratta di persone giovani e anziane, italiane e straniere, riunite in famiglie o sole, principalmente accomunate da condizioni lavorative precarie. Questa forma di disagio abitativo è per lo più ignorata, sia nel dibattito cittadino sia nelle politiche pubbliche.

Ma altri soggetti sono ugualmente fuori dai radar della politica. Ci riferiamo, per esempio, alle persone senza dimora, che a Torino vengono spesso criminalizzate e stigmatizzate e che, invece, vivono situazioni in cui sarebbe urgente e necessario adottare strategie di c.d. “housing first” (un modello secondo cui dare un tetto è priorità assoluta nel processo di accompagnamento sociale, oltre che precondizione per contrastare la marginalità sociale).

A Torino c’è poi un insieme di contraddizioni così palesi da risultare quasi incredibili. Sono migliaia gli sfratti che rischiano di essere eseguiti nei prossimi mesi, e ciò provocherebbe un vero e proprio dramma abitativo e sociale. Allo stesso tempo, i soldi non sembrano mancare per investimenti immobiliari che, spesso promossi dalle fondazioni di origine bancaria e applauditi dalla politica locale, tentano di accumulare facili rendite spremendo specifiche categorie di persone, come i turisti e gli studenti.

Per non parlare del fatto che nel territorio comunale si stimano decine di migliaia di alloggi vuoti, di proprietà privata e perfino di proprietà pubblica (in particolare di Atc). Se adeguatamente restituito alla collettività – tramite il mercato delle locazioni e possibili misure fiscali, oppure con interventi più coraggiosi come le requisizioni o eventuali percorsi di autorecupero -, questo patrimonio edilizio attualmente in disuso potrebbe migliorare di molto la condizione abitativa di chi vive a Torino.

Insieme per il diritto all’abitare. Rimboccarsi le maniche, creare alleanze

A fronte della drammatica situazione che viviamo nella nostra città, ci sembra più che mai vero che nessuno si può salvare da solo. Occorre allora promuovere e rafforzare occasioni e percorsi utili alla costruzione di alleanze sociali per il diritto all’abitare e per il diritto alla città. Alleanze che sappiano essere ampie, concrete e radicali. In questa direzione si colloca lo spazio di riflessione e di azione aperto da Volere la Luna con la giornata dedicata il 27 novembre 2021 alla situazione abitativa a Torino. Abbiamo contribuito con convinzione ed entusiasmo a quello spazio di confronto, e vogliamo rimboccarci le maniche a partire da alcune priorità.

Uno. Ci sembra urgente creare una rete mutualistica tra collettivi e associazioni, per e con chi soffre forme di disagio abitativo. Condividere buone pratiche e confrontare modelli di azione può aiutarci a realizzare una “fotografia” dei modi in cui il diritto all’abitare e il diritto alla città sono promossi nella società, a essere utili su tutto il territorio cittadino, a replicare e rafforzare esperienze già esistenti.

Due. Occorre lavorare affinché emergano le condizioni per portare avanti con forza alcune rivendicazioni molto precise, per affrontare davvero alcune delle maggiori e più ingiuste contraddizioni di Torino. Le politiche di Atc e la gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica devono tornare al centro di una grande discussione pubblica, con l’obiettivo di rendere (per es., con la mobilitazione di risorse provenienti da attori pubblici come Cassa Depositi e Prestiti) quanto più accessibili case che oggi restano inspiegabilmente in disuso. Inoltre, difficoltà ed emergenze nel settore abitativo possono essere affrontate anche intervenendo sul patrimonio edilizio privato, perché non è tollerabile vivere in una città che è, allo stesso tempo, capitale degli sfratti e colma di alloggi vuoti. Ci sembra strano doverlo ricordare: la proprietà privata non è sacra né intoccabile, specie quando essa risulta assenteista o speculativa.

Su questo pensiamo valga la pena di ragionare e di darci da fare, quando parliamo di case e di città oltre la pandemia.