“Ora l’inverno del nostro scontento è reso estate gloriosa da questo sole, e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla nostra casa sono sepolte nel petto profondo dell’oceano”. A Torino purtroppo non sta andando così per tutti e tutte, e proprio perché, mentre si allontanano le nuvole, continuano a mancare le case.  Accanto al calo dei numeri dei contagi e alla comprensibile voglia di ripartire, infatti, nella nostra città la situazione sta assumendo, per troppe persone, nelle ultime ore, contorni drammatici.
Contorni che erano stati delineati nell’allarme lanciato già ai primi di marzo, da parte degli operatori e delle operatrici delle strutture di accoglienza notturna di bassa soglia, e rimasto tragicamente inascoltato.

Nei dormitori cittadini allestiti per persone senza dimora i primi casi di Covid-19 sono stati riscontrati già da metà marzo nell’indifferenza pressoché totale di media e istituzioni. Le notizie che arrivavano da queste strutture parlavano di una situazione che stava rapidamente precipitando, con diversi dormitori che si stavano trasformando in veri e propri focolai, con un contagio che si diffondeva rapidamente tra ospiti e operatori/trici (quest’ultimi privi di dispositivi di protezione personale, impegnati in sforzi straordinari per assicurare i servizi).

A fine marzo alcuni appelli (tra cui quello della Fio.PSD) avevano rotto il silenzio, chiedendo interventi urgenti da parte delle istituzioni a livello nazionale, regionale e comunale, proprio al fine di proteggere e tutelare la salute individuale e pubblica dei concittadini. Ma oggi, dopo più di un mese, ben poco si è mosso. Malgrado l’enorme sforzo “in prima linea” di operatori e operatrici dei servizi di accoglienza, il rischio concreto, per i soggetti senza dimora e per chi a vario titolo frequenta i dormitori, è di trovarsi in condizioni non diverse da quanto è successo in troppe RSA. Con una sostanziale differenza: che in questi casi mancano, per lo più, dei familiari che possano sporgere denunce anche se ciò non toglie che la magistratura possa aprire inchieste sui fatti di questi giorni. Insomma, questa crisi mette in luce le preesistenti e strutturali falle di un sistema di accoglienza da rimettere in discussione a partire dalle fondamenta, oggi, per il domani.

Nell’ultima settimana questo scenario si è ulteriormente aggravato, con le vicende che dal 4 Maggio hanno coinvolto circa 100 persone senza dimora rimaste per strada a inaugurare la fase 2, dopo la chiusura del polo Emergenza Freddo in piazza d’Armi, senza che adeguate soluzioni alternative fossero individuate dal Comune e dalle amministrazioni coinvolte. Molte di queste persone si sono disperse o hanno trovato soluzioni di fortuna. Altre hanno deciso di accamparsi in piazza Palazzo di Città per manifestare pubblicamente la loro condizione di urgentissimo disagio. Nel giorno stesso in cui, tra mille incognite e paure, si invocava una ripartenza della nostra vita insieme, le persone più vulnerabili, le ultime, sono state lasciate per strada, mettendo in grave pericolo la loro incolumità.  Per quanto possibile, come organizzazioni e come individui abbiamo portato avanti forme di solidarietà attiva nei confronti di queste persone, sostenendole nelle loro basilari necessità, anzitutto alimentari.

L’amministrazione è infine intervenuta, trasferendo le 51 persone rimaste nel padiglione 5 di Torino Esposizioni, quello che è a tutti gli effetti un parcheggio interrato ed effettuando con urgenza quei tamponi che erano stati richiesti da mesi, e che sono fortunatamente risultati negativi

Nel rilanciare l’allarme sul grave rischio sanitario ed epidemiologico che questa situazione porta con sé, dobbiamo prendere atto anche della enorme difficoltà e in conclusione della totale incapacità sinora dimostrata da parte dell’unità di crisi di intervenire in questo quadro, con screening che sono stati effettuati solo laddove le condizioni erano già precipitate, senza alcun ragionamento preventivo né pianificazione di interventi.

E, come se non bastasse, è purtroppo facile prevedere che in tantissimi e tantissime stiamo per trovarci in condizioni di disagio abitativo, non avendo più il reddito necessario a pagare canoni di locazione o rate dei mutui ipotecari. Il decreto Cura Italia ha sospeso l’esecuzione degli sfratti fino al primo settembre 2020, ma ciò non basta: così come non sembrano sufficienti le risorse che il Governo intende destinare per finanziare un contributo straordinario affitti. Anche su questo fronte è importante non perdere tempo, immaginando soluzioni coraggiose e lungimiranti a tutela del diritto all’abitare.

Tutto questo sta accadendo nel momento stesso in cui, nel solo comune di Torino, si stimano c.a. 60.000 alloggi sfitti, per non parlare di tutti gli stabili pubblici e privati in disuso da tempo o a causa della pandemia, sul riutilizzo dei quali sarebbe auspicabile e urgente un  ampio dibattito pubblico. Queste situazioni sono inaccettabili, e non possiamo permetterci che tra rimpalli istituzionali e orecchie da mercante niente o quasi si muova. Per questo chiediamo immediate misure a tutela delle persone senza dimora e di tutti i soggetti che si trovano o si troveranno in condizioni di vulnerabilità abitativa.

  • Occorre trovare subito una soluzione abitativa sicura per le persone che fino al 4 maggio pernottavano in piazza d’Armi e per tutte le altre persone senza dimora presenti a Torino (si stima che prima dell’emergenza sanitaria fossero più di 1.700). Le amministrazioni coinvolte devono usare tutti gli strumenti di cui dispongono per porre fine a questa urgenza. Vanno individuati stabili pubblici e privati idonei ad accogliere le persone in stato di bisogno, garantendo allo stesso tempo i necessari requisiti di sicurezza sanitaria. Sebbene sia preferibile trovare soluzioni concordate con i soggetti (proprietari privati, albergatori, enti pubblici) che potrebbero mettere a disposizione i propri immobili, non è possibile perdere tempo in trattative estenuanti e burocratiche, condotte sulla pelle degli ultimi. Se necessario, chiediamo quindi che le amministrazioni responsabili procedano con la requisizione dei beni destinati a fare fronte all’emergenza (articolo 835 c.c.).   
  • Rilanciamo le richieste degli operatori e delle operatrici di bassa soglia, rispetto alla necessaria procedura di screening sanitario e alla somministrazione dei tamponi  nelle strutture di accoglienza notturna, e alla successiva messa in pratica del distanziamento nell’ottica di prevenire ulteriori contagi nelle stesse strutture. Occorre inoltre ripensare un modello di accoglienza per l’emergenza abitativa che sta dimostrando in questa crisi sanitaria tutti i limiti nel garantire il diritto alla salute e a una vita dignitosa anche a chi cade nella condizione di senza dimora.
  • Vogliamo aprire, tra persone in stato di vulnerabilità, sindacati, realtà associative e movimenti, uno spazio di coordinamento delle azioni su emergenza e disagio abitativi. Occorre muoversi insieme, elaborando al più presto proposte politiche e strategie giuridiche per contrastare eventuali ondate di sfratti, per “mettere affitti e mutui in quarantena” e per garantire a tutti e tutte il diritto all’abitare. In questo senso, un primo passo è l’adesione alla campagna di mail bombing lanciata da Link Coordinamento Universitario, Rete della Conoscenza, Unione Inquilini e Pensare Urbano, per richiedere che risorse adeguate siano destinate a finanziare un contributo straordinario affitti nei provvedimenti legislativi di prossima adozione.