di Mariateresa Matera, Gianluca D’Amico
Lo sportello di psicologi di Co.Mu.Net-Officine Corsare spiega cause ed effetti della “pandemic fatigue”. Con la seconda ondata siamo passati dallo stress acuto allo stress cronico e, per affrontare le conseguenze di questa difficile fase, lo sportello Psi.Co.Mu.Net mette a disposizione gruppi di sostegno sulla “pandemic fatigue”.
CONTATTA Psi.Co.Mu.Net per i gruppi di sostegno sulla “pandemic fatigue” dalla pagina dello sportello o chiamando il 333/8824742 o scrivendo a Psicomunet@gmail.com
Il confronto tra la vita prima della pandemia e questa ci lascia un senso di estraneità. Siamo estranei a noi stessi, agli altri che (non) ci circondano e al futuro che ci aspetta: cosa me ne faccio di tutto questo tempo libero? Quando finirà questa storia? O più prosaicamente, cosa dice il nuovo Dpcm?
Un futuro difficile da immaginare e una vita che non immaginavamo
Il presente è opprimente, il futuro difficile da immaginare, il passato l’Eden perduto. E se la fantascienza serve ad immaginare nuovi mondi possibili è chiaro che, ora, non abbiamo quasi più bisogno della fantascienza (o forse ne avremmo bisogno più che in qualsiasi altro momento): mascherine sul viso, o rivestimenti protettivi sull’intero corpo, distanze imposte, patenti di immunità, tracciamenti geolocalizzati, una sorta di solitudine in compagnia (tutti siamo nelle stesse condizioni ma tutti siamo soli), una specie di assedio senza nemico, con la mancanza che fa da padrona. La mancanza di pelle e calore. Quel contatto-incontro che, nell’avvicinare l’Altro, definisce noi. La mancanza di evasione. Il tragitto giornaliero è ridotto a qualche passo. La domenica e il lunedì indistinguibili. I giorni si sono con-fusi. Diventa, man mano, meno chiaro cosa ci irrita in queste giornate scandite da una continuità di situazioni che ci vedono adattare lentamente ad un moderno deserto dei Tartari.
In mezzo a questo dramma però, possiamo aver scoperto una vita che prima ci era preclusa e insieme ai ritmi meno frenetici, più umani, possiamo aver fatto ordine nella vita con l’avvicinarsi dell’idea della compagna morte che si intrufola nei discorsi. Quali amicizie stiamo coltivando? Quali sono le cose importanti, a cui dar valore, della nostra vita? Quali risorse stiamo utilizzando per navigare in questa incertezza?
Assuefazione alla minaccia
Tirando le somme sembra chiaro: la pandemia ci sta sottraendo forze mentali e fisiche. Siamo passati dall’entusiasmo e la fiducia per affrontare la crisi iniziale (vi ricordate quello strano senso di appartenenza e comunanza di quando ci affacciavamo al balcone per cantare insieme?) a sentimenti di spossatezza e stordimento. In termini fisiologici, siamo passati dallo stress acuto a quello cronico. Da una cascata di reazioni psicofisiologiche adattive a un esaurimento di risorse interne endocrine e mentali. Ci siamo abituati alla minaccia, il pericolo è meno presente nei nostri pensieri e nel nostro corpo e per questo sottovalutiamo i rischi non solo fisici ma psichici. La minaccia dei pericoli inoltre diventa più familiare e quindi meno impellente.
Insomma il pericolo è qualcosa che non salta più agli occhi, non ci fa tremare le gambe, non ci fa sudare le mani, il cuore batte al nostro ritmo di sempre: i rischi legati al coronavirus ci sono ma inconsapevolmente e per stanchezza ce ne curiamo meno e quindi ci proteggiamo di meno. Come la rana nel pentolone, quando la temperatura sale, né stanchi e né spaventati, indeboliti, non reagiamo. Avevamo pensato che ci sarebbe stato un picco seguito da un rapido ritorno a normale. Invece la pandemia è “diventata una maratona piuttosto che uno sprint”. (Murphy KFA, 2020). Ci servirebbero delle scarpette da ginnastica ad hoc.
Sintomi della pandemic fatigue
In molte persone questa maratona come stress protratto, in condizioni di limitazioni e deprivazione, ha incrementato ansia, irrequietezza, senso di impotenza, desiderio di evasione. Ce ne parlano i giornali quotidianamente descrivendo i numeri di richieste nei centri di servizi pubblici o in altre nazioni (vedi il Giappone) con i numeri dei suicidi.
Per questo, per la seconda ondata, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato un termine ombrello per contenere e definire questa stanchezza pandemica: pandemic fatigue. La fatica da pandemia è definita come una reazione normale ad una crisi sanitaria prolungata anche a causa delle misure restrittive che hanno avuto un impatto senza precedenti sulla vita quotidiana di ciascuno, compresi coloro che non sono stati affetti dal virus. Fatichiamo a seguire i consigli su quali comportamenti tenere e quali no al fine di proteggerci.
Effetti diseguali
Le conseguenze personali, sociali ed economiche a lungo termine delle restrizioni però non sono egualmente distribuite lungo la popolazione. Non a caso viene ridefinita altresì sindemia, termine coniato dall’antropologo medico Merril Singer, per identificare la relazione sostanziale tra infezione e condizioni ambientali e socio-economiche degli infetti (Horton R, 2019). I deceduti positivi COVID-19 presentano, infatti, condizioni di salute correlate a determinate aree geografiche o classi sociali svantaggiate. In soldoni, chi già viveva in ambienti e contesti economicamente e socialmente impoveriti sta soffrendo più di altri le restrizioni della vita sociale e comunitaria. Se la diffusione del virus può dirsi, tutto sommato democratica, i suoi effetti e gli effetti delle misure, sociali ed economiche, per il suo contrasto colpiscono, una volta di più, le categorie maggiormente svantaggiate.
Come costruire un senso?
Di fronte a questa significativa complessità del quadro potremmo coltivare, come singoli e come comunità, una maggiore attenzione nel riconoscere, gestire, comunicare le nostre emozioni, percezioni, disagi e stanchezze. Siamo esseri umani e in quanto tali portati a dare un senso al mondo che ci circonda: costruire un senso assieme agli altri ci rassicura, ci infonde un senso di sollievo e di sicurezza di fronte all’ignoto (ignoto è un virus che non si vede e di cui non si può prevedere il comportamento). Le relazioni con le altre persone, i dialoghi rappresentano i tiranti di questa grande costruzione di senso che ci tiene in piedi come comunità. Ciò che abbiamo in comune con gli altri permette alle persone, come direbbe Jung, di individuarsi, di cercare un senso di pienezza e di costruire un proprio progetto nel mondo.
Ma per costruire questo personale progetto nel mondo è necessario sentirsi parte di un tutto, di una comunità di simili in cui la resilienza come processo è altrettanto umana quanto la sofferenza. La situazione è quella che è: assurda. Il gioco, la creatività, il sentirsi pieni e vivi con gli altri possono essere diventate esperienze momentaneamente lasciate in sospeso. Ci ritroviamo, come dei moderni Sisifo, a sollevare un macigno e a portarlo in cima a questa montagna di limitazioni della socialità. Sta a noi decidere nei limiti e nelle opportunità che il contesto ci offre: il macigno lo solleviamo da soli o assieme a qualcun altro che renda questa fatica assurda almeno sopportabile?
Bibliografia
Horton, R. (2020) Offline: COVID-19 is not a pandemic The Lancet, Volume 396, Issue 10255, 874
Murphy JFA. (2020) Pandemic Fatigue. Ir Med J. 2020 Jun 11;113(6):90. PMID: 32816425.
Vindegaard N, Benros ME. COVID-19 pandemic and mental health consequences: Systematic review of the current evidence. Brain Behav Immun. 2020;89:531-542. doi:10.1016/j.bbi.2020.05.048
Sitografia
https://coscienzeinrete.net/lancet-non-e-una-pandemia-ma-una-sindemia/