Come il diritto alla salute è stato eroso da privatizzazione e sanità integrativa e il nostro impegno per difenderlo
Di Matteo Bessone
Così ci siamo rimessi in viaggio, nonostante il vento contrario.
Il vuoto intorno a noi rischia di illuderci che le uniche rotte percorribili siano quelle già visibili sulle mappe mentali tracciate da altri per noi. Se anche questo ritornello corrispondesse al vero, l’assenza di alternative sarebbe la migliore premessa per crearne di nuove. La nostra sfida sarà quella di tentare, con lucida e pacata determinazione, a percorrere rotte alternative laddove i tracciati visibili rischino di alimentare l’esistente.
La risposta ai bisogni di salute della popolazione rappresenta il banco di prova perfetto per mettere alla prova un progetto mutualistico che sappia essere radicalmente alternativo e politicamente efficace.
La salute di tutte e tutti rappresenta il bene più prezioso di cui disponiamo come comunità: senza questo bene primario, ogni lotta viene meno; la sua tutela universalistica è una delle principali unità di misura della giustizia sociale.
Da anni questo bene primario è diventato uno straordinario canale di investimento per il florido mercato della salute. Le controriforme e i tagli che hanno indebolito la sanità pubblica e rafforzato quella privata hanno anche contribuito alla mercificazione della salute dei cittadini. La riproduzione della vita stessa è diventato un settore di sicuro investimento economico per gli attori della sanità privata, che pur di far lievitare i loro margini di profitto hanno alimentato le preoccupazioni dei cittadini e delle cittadine per il proprio stato di salute e per quello dei propri cari.
Chi di noi non sarebbe dispost* a pagare qualsiasi cifra, pur di essere rassicurato circa le proprie condizioni di salute e quelle dei propri familiari, di esorcizzare la paura della morte certa o di attenuare il calo efficienza e produttività provocato da qualche malattia?
Una certa pratica medica, stimolata dal mercato della salute dei grandi produttori ed erogatori di beni e servizi, non fa che assecondare l’illusione che tutto questo sia non solo possibile, ma anche desiderabile. Beni, servizi e prodotti che garantiscono un migliore stato di salute o un mantenimento di una salute che si vorrebbe ottimale rischiano di diventare così, come ogni aspetto della nostra vita, merci da consumare, surrogati ansiolitici con cui placare un diffuso senso di insicurezza, specchio dell’umana vulnerabilità quanto delle conseguenze di determinati assetti sociali.
Questo processo globale di medicalizzazione della vita quotidiana e di commercializzazione della salute in Italia ha trovato terreno fertile nelle scelte politiche tese alla progressiva aziendalizzazione della sanità pubblica avviata nel 1992, che ha aperto la strada alla privatizzazione dei servizi sanitari e inaugurato uno spazio concorrenziale e sostitutivo al Sistema Sanitario Nazionale, universale e pubblico, finanziato attraverso la tassazione progressiva (primo pilastro).
A seguito della crisi economico-finanziaria del 2008 e dell’introduzione dell’obbligo del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale nel 2012, all’erosione di queste fondamentali tutele istituzionali del diritto alla salute si è aggiunta la novità della tutela sanitaria integrativa, declinata in due modalità: su base collettiva o individuale, assicurata da fondi sanitari di categoria o fondi sanitari aperti (secondo pilastro) o, ancora, da polizze assicurative, individuali e familiari, offerte e gestite da compagnie di assicurazione (terzo pilastro).
Questi nuovi attori hanno potuto intercettare la domanda di salute dei cittadini, peraltro costretti a compartecipare ulteriormente alla spesa sanitaria pubblica con il pagamento del ticket o della cosiddetta “tassa sulla malattia”, grazie a politiche che hanno predisposto le condizioni di una vera e propria concorrenza sleale fra sanità pubblica e privata: non solo perché il concetto stesso di sanità pubblica non può né deve rispondere a criteri di efficienza economica (la salute è un diritto, non una merce), ma anche e soprattutto perché ogni taglio alla sanità pubblica di fatto è corrisposto a un finanziamento indiretto alla sanità privata.
La logica di queste innovazioni, che hanno consentito agli attori della sanità privata di accumulare profitti sulla salute delle persone e di dipingersi come efficienti salvatori di contro alle lacune dall’inefficiente SSN, è a dir poco perversa. Se da una parte sono corresponsabili del definanziamento del SSN, dall’altra ampliano l’offerta di servizi e prestazioni a dismisura con il rischio di indurre il consumo di trattamenti inutili (quando non dannosi) per la salute, aumentando la percezione del bisogno di prestazioni sanitarie.
Come ricorda la Rete Sostenibilità e Salute, a causa della tutela sanitaria integrativa,
non solo si sottraggono risorse preziose al principale pilastro a reale tutela della salute di tutti i cittadini, il SSN; ma le fasce di popolazione più avvantaggiate dal punto di vista socioeconomico e da quello di salute che accedono a questi nuovi “pilastri” sanitari, grazie ai privilegi fiscali, scaricano parte dei costi su chi non può accedervi e non ne usufruisce, pur versando in condizioni di salute in media peggiore.”
Non possiamo alimentare questo processo. Anzi, potremmo: ma non vogliamo farlo. L’unico efficace strumento di cui, come comunità, disponiamo politicamente per la tutela della salute di tutti e tutte, è il Sistema Sanitario Nazionale, una delle più grandi opere collettive mai realizzate. Ogni nostra azione, ogni nostra intenzione non potrà e non dovrà, neanche per un momento, sottrarre risorse o credibilità a questo presidio di libertà collettiva o indebolire lo slancio che ne rivendica un pieno funzionamento ed effettività.
A fronte di queste premesse, diventano ineludibili le seguenti domande: come intercettare i bisogni di salute senza offuscare la funzione politica del SSN? Come coniugare una risposta pratica ai bisogni di salute dei singoli cittadini, inserendola in una visione politica che abbracci la politica sanitaria, di welfare e di tutti quei settori (istruzione, abitazione, lavoro, mobilità, alimentazione, politiche fiscali) che determinano il modo in cui la salute si distribuisce, migliorando al migliorare della posizione sociale, nella società? Quali risposte pratiche e quali forme organizzative possiamo costruire per rispondere efficacemente ai nostri bisogni di salute e a quelli di tutti e tutte tutelando contemporaneamente il SSN? Come possiamo scongiurare il rischio di alimentare, con le nostre pratiche, la mercificazione della salute e la medicalizzazione di sofferenza e incertezza? Di quali forme autorganizzate possiamo dotarci per tutelare la salute collettiva e preservare la di salute come bene comune sottratto dalle logiche del profitto che alimenta la stratificazione sociale?
L’unica soluzione concreta a cui, per ora, siamo giunti è di tipo sottrattivo. Abbiamo resistito alla tentazione di mettere in atto soluzioni che, se ben analizzate, rischiavano di portarci fuori rotta, alimentando il problema che tentavano di risolvere. Tollereremo quest’incertezza, consapevoli che le soluzioni non sono già date, ma saranno da costruire, con attenzione, insieme ai compagni di viaggio che incontreremo e guardando con attenzione chi sta già praticando, come direbbe Basaglia, l’utopia della realtà. Per questo abbiamo scelto di integrare l’offerta degli sportelli mutualistici creati dai soci sostenitori e dalle socie sostenitrici di Co.Mu.Net con i servizi erogati da fornitori esterni come Società Mutua Piemonte e Sportello Ti Ascolto, che del mutualismo hanno fatto una pratica, prima ancora che una bandiera.
Eravamo giunti a queste conclusioni prima della diffusione del Corona Virus. Una delle poche, pochissime notizie piacevoli di questa emergenza è che gli spauracchi sventolati da certi “capitani” sembrano improvvisamente essere svaniti nel nulla, come se questo nemico invisibile e potenzialmente ubiquo avesse cancellato i nemici immaginari su cui le destre hanno investito le loro fortune politiche. Come se questa emergenza ci avesse costretto a frequentare un corso di recupero per far fronte al nostro analfabetismo emotivo, ricordandoci la differenza fra il potere aggregante e potenzialmente costruttivo della paura e l’angoscia, la meno definita e, proprio per questo, la più strumentalizzabile delle emozioni.
Un’altra notizia positiva di questo periodo è l’improvvisa ondata di ammirazione tributata a medici, infermieri, operatori socio-sanitari e a tutt* coloro che lavorano nelle strutture della sanità pubblica del nostro paese per tutelare la salute dei pazienti.
Sarebbe bello, se l’ammirazione di oggi ci aiutasse a ricordare che la carenza di personale sanitario e di respiratori negli ospedali italiani, soprattutto in alcune regioni italiane, è l’effetto di politiche economiche scellerate, basate sui fallimenti dell’austerity, sull’equazione fra pubblico e inefficienza e su una cultura politica che ha dimenticato la differenza fra i concetti di spesa e di investimento pubblico.
Sarebbe bello, se trovassimo le energie intellettuali ed emotive per tributare la stessa ammirazione a chi non può lavorare da casa ed è maggiormente esposto al rischio del contagio, dagli operai e operaie, alle cassiere degli esercizi commerciali rimasti aperti, fino ad arrivare ai trasportatori.
Sarebbe bello, se ci ricordassimo che non tutt* possono rispettare l’obbligo di restare a casa, perché non tutt* hanno una casa dove restare.
Sarebbe bello se, a emergenza finita, tutt*, ma proprio tutt* si ricordassero di che cosa vuol dire avere una sanità pubblica che funzioni, nonostante i tagli degli ultimi anni.
Sarebbe bello se, a emergenza finita, chi oggi applaude al lavoro del personale sanitario fosse disposto a investire il ricordo di ciò che sta accadendo in questi giorni nella domanda politica di un futuro radicalmente diverso.
Gli incontri di approfondimento che organizzeremo nei prossimi giorni tenteranno di trasformare questi auspici in impegno concreto. Nel frattempo, nelle assemblee digitali di marzo la ciurma ha rinnovato la rotta che avevamo iniziato a tracciare a gennaio: il Corona virus non ci consente di attivare gli sportelli che avevamo in programma di avviare a marzo, ma non ci impedisce di mettere le nostre risorse e competenze a disposizione di chiunque ne abbia bisogno. Per questo abbiamo deciso di attivare gli sportelli mutualistici virtuali.
Oggi più che mai spira vento contrario. Ma la rotta è chiara. Difficile e ambiziosa quanto si vuole, ma chiara. ReSIstiamo solidali.