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Di Rocco Albanese e Andrea Aimar

Disegno di Umberto Massa

Ci sono alcune persone, poche persone speciali, che anche se non le conosci davvero quando muoiono è come se sia morto uno zio, un amico, un compagno, un maestro. Gianni Mura è stato tra queste persone, ed è con questo magone spaesato che scriviamo in sua memoria.

Non abbiamo conosciuto bene Gianni, ma come tanti conserviamo un ricordo indelebile di quando le nostre strade hanno incrociato la sua.

È la fine di gennaio 2016, e Gianni viene a Torino per partecipare, in quelle che erano le nostre Officine Corsare, alla serata inaugurale di un ciclo di incontri su calcio e politica, sport e società. Però arriva prima di pranzo, e uno di noi ha il privilegio di partecipare alla nascita di una puntata della celebre rubrica Mangia & Bevi (tenuta con la moglie Paola, cui vanno ora le nostre condoglianze). Tavolo per due al ristorante del Circolo dei Lettori, prenotato rigorosamente in incognito: a nome “Moretti”, se la memoria non inganna. Pranzo spettacolare. Due bottiglie di vino buonissimo in due. Una convivialità che è difficile descrivere: non si parla assai, la loquacità è un’altra cosa; ma ciò non impedisce a Mura di confrontarsi su tutto, condividendo i suoi agnolotti e la sua trippa con uno sconosciuto. Chissà se lo chef ha mai saputo che Gianni è rinfrancato dal pranzo, e rivelando la sua identità ha chiesto di lui per fargli i complimenti ma lui no, è già andato via.

Quella sera sono in programma parole in libertà, a partire da Eduardo Galeano e da un suo piccolo capolavoro, Splendori e miserie del gioco del calcio. Si tratterà di un incontro memorabile, pieno di gente e di intelligenza. E, se possibile, ancora migliore sarà il “terzo tempo”, con Gianni bonariamente impegnato a soddisfare, fino a tirar tardi, la nostra curiosità di storie di aneddoti di opinioni, con quella sua socialità così strana, perché insieme misurata e generosissima.

Del resto, possiamo scommettere sul fatto che questo strano connubio sia stato una delle cifre della vita di Gianni. Mura, infatti, è stato un uomo molto appassionato e curioso, ma allo stesso tempo timido, e forse capace, in questo senso, di incarnare un modo un po’ milanese di stare al mondo. Così era anche la sua penna, come hanno scritto Maurizio Crosetti ed Emanuela Audisio su Repubblica: Mura è stato un grande amante della parola e della sua variopinta potenza, ma ha scritto (e parlato) parole pensate, parole concise, parole mai compiaciute. In ciò, probabilmente, Gianni è stato un allievo un po’ agli antipodi rispetto a Brera. E forse anche per questa divergenza – che, si sa, va a braccetto con l’affinità – è stato l’unico erede possibile del suo omonimo maestro.

Con lui perdiamo uno dei suoi più straordinari, colti e versatili giornalisti e scrittori italiani. E non è esagerato dire che con la sua morte comincia un po’ a morire un’intera epoca del giornalismo, sportivo e non. Gianni Mura ci ha insegnato che fare giornalismo è un privilegio e una responsabilità, perché significa raccontare la vita con curiosità ma anche con tatto. Mettendosi in ascolto delle persone e delle cose, andandosi a cercare con pazienza storie e notizie; ma anche difendendo il diritto/dovere di mantenere le giuste distanze – una sensibilità, questa, in cui si riassumeva (e, ne siamo convinti, si riassume anche oggi, in un mondo del giornalismo radicalmente mutato) il ruolo sociale di un’intera professione.

Mura ha detestato la crescente tendenza del giornalismo a risolversi nello sciacallaggio, nella pornografia, nelle urla acchiappaclick. Di questa sua postura, umana prima ancora che professionale, è facile dare due indizi tra tanti. Da un lato, il suo rapporto così intimo e longevo con Repubblica, e in particolare con l’eccellente redazione sportiva: che oggi, infatti, si raccoglie a lutto attorno al proprio maestro. Dall’altro lato, un fatto meno noto: Gianni Mura è stato il direttore di E-il mensile, rivista che Emergency ha pubblicato una decina di anni fa.

Ebbene, quando nel 2012 si decise di interrompere le pubblicazioni di E-il mensile, il direttore Mura, nel suo ultimo editoriale, diede la notizia usando, tra le poche altre, le seguenti parole: «non ci trovo nulla da eccepire: prima vengono gli ospedali, poi i giornali. E-il mensile è nato per trasmettere una cultura di pace e credo l’abbia fatto. Credo, ancora, che questo modo di fare giornalismo abbia un futuro, anche se si è scontrato con il presente. Me lo fanno pensare i tanti messaggi di colleghi d’altre testate (“bravi, finalmente qualcosa di nuovo”), ma soprattutto i messaggi delle lettrici, dei lettori, di voi che state leggendo queste pagine e che ci avete dato attenzione, fiducia, calore. Grazie a tutti, è stato bello finché è durato, come si usa dire. Molti dei messaggi elogiativi non li abbiamo pubblicati, per modestia. Uno sì, di una lettrice che ci ha definito “un manuale di umanità”: ecco, un pezzettino di quello che considero una medaglia me lo porto via».

Questo ci lascia in eredità Gianni Mura. La consapevolezza che il bello della vita è avere il pane tanto quanto coltivare le rose. La certezza che, a titolo individuale e collettivamente, vale sempre la pena di fare cose e di usare parole che servano a scrivere manuali di umanità.

La sua gentilezza ci aveva consentito di mantenere contatti saltuari: «caro Gianni, mi permetto di mandarti un articolo che ho scritto»; «caro Gianni, grazie per gli spunti dei tuoi cento nomi dell’anno»; «caro Gianni, che tappa incredibile oggi!»; e così via. Avremmo dovuto accoglierlo ancora l’anno scorso, in occasione di una serata per i quindici anni dalla morte di Marco Pantani. Purtroppo Gianni dovette dare forfait all’ultimo momento, non mancando di dirci che ci sarebbero state nuove occasioni di incontro. Così non è stato. La sua palla di lardo, che ogni anno gli consentiva di fare le previsioni sul campionato alle porte, non aveva previsto che se ne sarebbe andato così, un po’ all’improvviso. Nel primo assolato giorno di una primavera che la pandemia sta privando delle passeggiate, dell’aria aperta, delle mangiate in compagnia, della Milano-Sanremo, della Roubaix e delle Fiandre. Come lui usava dire: gli sia lieve la terra.